una riflessione sul lavoro del #corporatefundraiser e al bello del lavorare tra #profit e #nonprofit.
Papa Francesco ci ricorda che “non siamo condannati ad un’economia che sia solo profitto”. Rileggendo questa frase penso al mio lavoro e ai tanti incontri fatti in questi anni con le aziende, nel tentativo di costruire partnership per ridurre le diseguaglianze, per sostenere e realizzare piccoli e grandi progetti. Più ci ripenso e più non posso fare a meno di notare come è cambiata la relazione fra profit e nonprofit, ma anche al modo in cui è cambiato il mio approccio verso le aziende ed il mio lavoro.
L’impresa va sempre di più verso il terzo settore in una forma sempre meno occasionale. Cosa che non si può dire del terzo settore. A volte l'approccio è più quello di: prendiamo i soldi e scappiamo. Sempre di più i dipendenti sono coinvolti nei processi di scelta delle cause da sostenere o nei percorsi stessi di corporate partnership. Dati, impatto e cambiamento che genererà la donazione, sono le parole d’ordine per avviare una partnership con le aziende.
Conviene capire subito come li misurerete, prima ancora di costruire la partnership. E poi benefit e visibilità che per molte aziende non sono importanti ma spesso, più le aziende sono grandi e più sono loro che trainano il vostro brand e non il contrario. Negli anni ho avuto modo di lavorare con aziende che hanno sostenuto progetti e organizzazioni di ogni dimensione e ho compreso, che quello che fa la differenza sono due cose: il bisogno e l'idea. Il bisogno o il problema che vogliamo risolvere e come lo vogliamo risolvere, oltre ad una buona dose di creatività nell'ideare nuove modalità di collaborazione.
Ed io, in tutto questo, mi percepisco sempre meno come la persona che deve “vendere un progetto” e sempre di più come la persona che darà vita ad un'idea e che dentro all'organizzazione tutelerà la partnership e gli interessi del donatore.
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